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La Protostoria

L’età del bronzo

L’età del bronzo (2300-1000 a.C.) si configura in tutta l’Italia settentrionale come il lungo periodo che conduce dal “villaggio ” alla ” città”, ovvero l’arco di tempo entro il quale dall’occupazione sempre più capillare del territorio, ad opera di comunità sempre più estese, si giungerà alle prime forme di urbanizzazione. E sono proprio gli abitati ad essere maggiormente noti in questa fase, nella quale il Veneto hanno restituito alcune fra le più rilevanti e meglio conosciute culture e realtà archeologiche a livello italiano ed europeo.

Stele in pietra a destinazione funeraria con figurazione di guerriero in armi a cavallo. La cornice reca un’iscrizione in lingua e alfabeto venetici in cui compare la parola Enetioi, esplicito riferimento all’etnico dei Veneti

La prima di esse è la c.d. “civiltà palafitticola”, oggi meglio nota come “cultura di Polada”, coincidente grossomodo con il bronzo antico (2300-1700 a.C.). Pur se chiaramente imparentata con coeve facies delle Alpi Svizzere e dell’Europa centro-orientale, la cultura di Polada mostra caratteri specifici, a cominciare dalla localizzazione del suo nucleo essenziale e delle sue sedi principali attorno al lago di Garda. Nelle colline del Garda, ma anche nel comprensorio berico-euganeo, è infatti nota una straordinaria concentrazione di siti in ambiente umido che hanno restituito imponenti resti di strutture abitative su palafitta e migliaia di reperti; fra questi si contano, oltre al vasellame ceramico, ingenti quantità di bronzi e oggetti in osso, nonché manufatti lignei, tessuti e filati, normalmente assenti dai recuperi archeologici e qui invece eccezionalmente conservatisi in ragione delle particolari condizioni ambientali.

Nel bronzo medio e recente (1700-1200 a.C. circa), con il progressivo declino dei villaggi palafitticoli stanziati nei pressi di bacini perilacustri, fa riscontro una nuova forma di occupazione diffusa del territorio nell’area di pianura. Nelle Valli Grandi Veronesi, nel Polesine e fino ai margini nord-orientali della pianura, si colgono i segnali di un deciso aumento demografico, associato alla diffusione della c.d. “civiltà terramaricola” caratterizzata da una fitta rete di villaggi arginati. In un quadro prettamente agricolo spicca il sito di Peschiera del Garda, erede della tradizione di “Polada”, che in questi secoli si configura come importantissimo centro di produzione di manufatti in bronzo (armi, strumenti, oggetti d’abbigliamento), da qui esportati e diffusi non solo su tutto il territorio italiano, ma, a raggio anche più ampio nelle regioni centroeuropee e balcaniche. La grande apertura commerciale e culturale della Val Padana in questi secoli ha un ulteriore riscontro nella presenza di frammenti ceramici micenei, i quali, se non testimoniano i primi contatti diretti con la Grecia, attestano in ogni caso un’importante circolazione di uomini e merci lungo le rotte adriatiche.

Al passaggio fra bronzo recente e bronzo finale, attorno al 1200 a.C., si verifica il collasso dei villaggi terramaricoli, cui fa seguito la comparsa nei pressi dei grandi corsi fluviali e lungo le principali vie di comunicazione dei primi grandi agglomerati a carattere protourbano. Assieme ad una serie di siti localizzati principalmente nelle piane meridionali della regione e ai piedi dei Colli Euganei, quali Montagnana-Borgo S. Zeno e Este-Canevedo emerge certamente il centro di Frattesina di Fratta Polesine, nel quale sono state messe in luce officine artigianali finalizzate alla lavorazione su larga scala di diverse qualità di oggetti (corno, osso, pasta vitrea, avorio, ambra); questi testimoniano non solo il grado di complessità e specializzazione della comunità, ma anche l’ampiezza della rete commerciale facente capo al sito; questo fra l’importazione di materie prime e lo smistamento di prodotti finiti, mostra rapporti solidi anche con l’area baltica e con il mare Egeo e le coste africane. In questi secoli (1200-1000/950 a.C.), si assiste alla diffusione del Provillanoviano, una cultura sostanzialmente omogenea presente su tutta la penisola, nota in Veneto non solo dagli abitati, ma grazie anche ad alcune necropoli (come quelle di Frattesina-Narde e Fondo Zanotto e di S. Giorgio di Angarano, all’ingresso della Valsugana) caratterizzate dal rito dell’incinerazione del cadavere.

L’età del ferro

La grande omogeneità delle manifestazioni dell’ultima fase del bronzo lascia il posto, fra il 1000 e l’800 a.C., ad una rapida e forte trasformazione delle culture locali. Questo periodo coincide con il formarsi dei diversi popoli dell’età del ferro italiana: Etruschi, Latini, Piceni, Umbri, etc. In un territorio grossomodo corrispondente all’attuale regione, all’inizio dell’età del ferro, si diffonde dunque la civiltà venetica, la cui più evidente manifestazione è data dalla nascita dei nuclei abitativi destinati a divenire vere città: Este, Padova, Treviso, Vicenza, Altino, Oderzo. Sebbene tali centri siano poco noti sotto il profilo urbanistico e architettonico, la civiltà nel suo insieme è ben conosciuta soprattutto per le grandi e ricche necropoli ad incinerazione, nonché per i luoghi di culto, ricchi di doni votivi bronzei. Da questi, e da alcune fra le più ricche tombe di Este e della regione, provengono alcuni oggetti figurati in lamina bronzea, diffusi altresì in tutto il bacino altoadriatico, che costituiscono uno dei più importanti e preziosi repertori figurati dell’Europa protostorica (“Arte delle situle”).

Attorno al VI secolo a.C. in diverse città del Veneto iniziano ad essere prodotti anche i primi documenti scritti, dai quali si evince come presso tali comunità fosse in uso una lingua indoeuropea molto vicina al latino. A fianco delle genti venete, la regione conta però anche diverse altre realtà, quali gruppi retici stanziati nelle Prealpi vicentine, comunità etrusche lungo la fascia meridionale, ancora Etruschi e, naturalmente, Greci nell’importante scalo commerciale di Adria; qui, nella piena età del ferro, mercanti di diversa etnia, fra i quali anche Veneti e Celti, dovevano dar vita ad un’intensa attività di scambio: veniva scambiata ceramica attica, distribuita in Etruria, in Val Padana e nelle corti celtiche d’oltralpe, in cambio di materie prime, provenienti anche da regioni remote (stagno della Cornovaglia).

La penetrazione delle genti celtiche, iniziata in modo intermittente attorno al 600 a.C., e divenuta invasione con la massiccia calata gallica che arriverà a violare Roma all’inizio del IV sec. a.C., crea una crisi generalizzata nell’Italia centro-settentrionale. Anche in Veneto, assieme ai riflessi della crisi economica e culturale in atto alcune aree, come il veronese e la fascia alpina, nonché importanti centri quali Altino e Oderzo, sembrano mostrare, nella seconda età del ferro, i segni evidenti dello stabilizzarsi di gruppi celtici; di questi ci parlano anche le fonti letterarie (è il caso ad esempio dei Cenomani, stanziati nel Veneto occidentale); ma altre zone, e nello specifico il territorio compreso fra Padova e Vicenza, paiono invece costituire una sorta di nucleo di resistenza autoctono, fondato sulla costante difesa armata del territorio. In ogni caso, al di là degli aspetti conflittuali o dei più pacifici processi di integrazione fra le due realtà etniche, appare certo che la diffusa presenza celtica in Transpadana, dal 400 a.C. circa, condizionò in maniera profonda i modi di vita delle genti venete. Queste infatti apparivano allo storico Polibio, nella fase ormai di romanizzazione (II a.C.), del tutto simili ai Celti e da questi distinguibili solo per la lingua.

Il testo e le immagini (con referenze fotografiche) sono tratti da:
J. Bonetto, I. Venturini, L. Zaghetto, Veneto, Archeologia delle Regioni d’Italia, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2009.